Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la
moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si recò insieme alla
sua scorta in via D'Amelio, dove viveva sua madre.
Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della
madre con circa 100 kg di esplosivo a bordo detonò al passaggio del giudice,
uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche i cinque agenti di scorta Emanuela Loi
(prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio), Agostino Catalano,
Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L'unico sopravvissuto
fu Antonino Vullo, ferito mentre parcheggiava uno dei veicoli della scorta
Il 24 luglio diecimila persone partecipano ai funerali
privati di Borsellino (i familiari rifiutarono il rito di Stato, poiché la
moglie Agnese Borsellino, accusava il governo di non aver saputo proteggere il
marito, voleva una cerimonia privata senza la presenza dei politici), celebrati
nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, disadorna e periferica, dove il
giudice era solito sentir messa, quando poteva, nelle domeniche di festa.
L’orazione funebre la pronuncia Antonino Caponnetto, il vecchio giudice che
diresse l’ufficio di Falcone e Borsellino: «Caro Paolo, la lotta che hai
sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi». Pochi i
politici: il presidente Scalfaro, Francesco Cossiga, Gianfranco Fini, Claudio
Martelli. Il funerale è commosso e composto, interrotto solo da qualche
battimani. Qualche giorno prima, i funerali dei 5 agenti di scorta si svolsero
nella Cattedrale di Palermo, ma all'arrivo dei rappresentanti dello stato
(compreso il neo Presidente della Repubblica Italiana, Oscar Luigi Scalfaro),
una folla inferocita sfondò la barriera creata dai 4000 agenti chiamati per
mantenere l'ordine, la gente mentre strattonava e spingeva, gridava "FUORI
LA MAFIA DALLO STATO". Il Presidente della Repubblica venne tirato fuori a
stento dalla calca, venne spintonato anche il capo della polizia.
Pochi giorni prima di essere ucciso, durante un incontro
organizzato dalla rivista MicroMega, così come in una intervista televisiva a
Lamberto Sposini, Borsellino aveva parlato della sua condizione di
"condannato a morte". Sapeva di essere nel mirino di Cosa Nostra e
sapeva che difficilmente la mafia si lascia scappare le sue vittime designate.
Antonino Caponnetto, che subito dopo la strage aveva detto,
sconfortato, "Non c'è più speranza...", intervistato anni dopo da
Gianni Minà ricordò che "Paolo aveva chiesto alla questura – già venti
giorni prima dell'attentato – di disporre la rimozione dei veicoli nella zona
antistante l'abitazione della madre. Ma la domanda era rimasta inevasa. Ancora
oggi aspetto di sapere chi fosse il funzionario responsabile della sicurezza di
Paolo, se si sia proceduto disciplinarmente nei suoi confronti e con quali
conseguenze"
Una settimana dopo la strage, la giovanissima testimone di
giustizia Rita Atria, che proprio per la fiducia che riponeva nel giudice
Borsellino si era decisa a collaborare con gli inquirenti pur al prezzo di
recidere i rapporti con la madre, si uccise.