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mercoledì 3 settembre 2014

Splendori di Sicilia. Dalla cima dell'Etna alle profondità marine delle isole Egadi (VIDEO)




Dalla cima dell'Etna alle profondità marine delle isole Egadi: Alberto Angela tra i tesori della Sicilia.
Un viaggio nell'isola tra mito e storia, dalle leggende omeriche alle varie dominazioni dei Greci, Romani e Arabi che hanno lasciato splendide tracce archeologiche come la Valle dei templi di Agrigento, i tanti teatri greci come quello del magnifico sito di Segesta, fino ai mosaici di Piazza Armerina. Altrettanto fondamentali sono le eredità ancora oggi evidenti nella vita quotidiana, nella cucina, nell'agricoltura, in molte tradizioni e dialetti di quella terra.
Con Alberto Angela vediamo come si svolgeva la vita quotidiana al tempo dei romani attraverso il racconto dei mosaici della Villa del Casale di Piazza Armerina: una delle più imponenti testimonianze della civiltà romana.
Le suggestioni e il fascino di un'isola ricca di storia e di bellezze naturali: ci immergiamo nell''Area Marina Protetta delle "Isole Egadi", in un sito archeologico 'subacqueo' alla scoperta di un relitto pieno di antiche anfore. Mostriamo i possenti rostri di bronzo usati per speronare navi nemiche e gli elmi dei soldati di oltre 2300 anni fa riemersi dal mare.
Infine a Palermo entriamo nel meraviglioso Palazzo dei Normanni, uno dei centri della cultura e della tradizione classica, bizantina e araba con il gioiello della Cappella Palatina.
Ulisse ripercorre così nello spazio e nel tempo l'isola che vive nell'immaginario di tutti grazie a tanti romanzi e a film come Il gattopardo di Visconti. Entriamo nei saloni di Palazzo Gangi a Palermo, dove fu girata la famosa scena finale del film.
Vediamo inoltre i suggestivi paesaggi costieri in cui si muove il commissario Montalbano.

lunedì 25 agosto 2014

La Siciliana Divina Commedia - Pigeon Pictures (Guarda il video)


Questo cortometraggio è la rappresentazione paradossale di una Divina Commedia rivista e riadattata alla realtà siciliana di oggi, con i suoi Inferno, Purgatorio e Paradiso.
Dante e Virgilio sono accolti nell'Antinferno, popolato qui dagli omertosi, "gente che sa,vede,conosce... ma si volta dall'altra parte." Successivamente i due attraverseranno la Vucciria (girone golosi), la Favorita (lussuriosi) e infine, "la macchia più nera", i mafiosi. La rappresentazione evidenzia come siano i Siciliani stessi che spesso si autocondannino, preferendo la triste serenità di un Inferno anonimo all'eroica, ma impegnativa, felicità di un Paradiso glorioso.
Ad accoglierli nel Purgatorio siciliano è un pentito di mafia. Dal lieve sorriso soddisfatto e melanconico traspare la sofferenza vissuta per la difficile scelta effettuata.
A seguire, disposti in due file, l'uno di fronte all'altro, vi sono due gruppi di persone. Essi sono i pentiti di essere emigrati e i pentiti di non essere emigrati. L'atteggiamento è quello del tipico siciliano diviso tra rifiuto per la propria realtà e allo stesso tempo sfrenato amore per essa.
Il Paradiso siciliano è il luogo delle infinite bellezze naturali; è il luogo di artisti di strada, pittori, scrittori, poeti (Renato Guttuso, Luigi Pirandello, etc.), ma anche di lavoratori onesti e di famosi eroi siciliani (Falcone, Borsellino, Padre Puglisi, Impastato).
E' Beatrice a dare un messaggio di speranza: le cose possono cambiare, credendo in sé stessi, nella propria anima e nella propria terra.
Ed in ultimo anche Dante pensa: "Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura... ma poi uscimmo a riveder le stelle. E voi siciliani? Siete in grado di attraversare l'Inferno per poter vivere nello spettacolo di un mondo più giusto e felice?".


mercoledì 25 giugno 2014

PERCHE’ LA SICILIA SI CHIAMA SICILIA… La storia in una favola.. leggetela



Si conta e si racconta che c'era una volta un Re e una Regina che avevano un'unica bambina, una picciridda bella quanto Dio la poté fare.
Questo Re e questa Regina erano tanto felici di avere questa Reginella e si beavano solo al guardarla.
Quando la picciridda ebbe sette anni e mezzo passò una vecchia chiromante.
— Oh, — disse il Re, — vogliamo far predire il futuro a nostra figlia ?
— Buono è, — disse la Regina, — facciamoglielo predire. E chiamarono la vecchia.
— Eccoti cinque monete: predici il futuro a questa picciridda.
La vecchia le guardò la palma della mano, la osservò avanti e dietro, poi le mise una mano sui capelluzzi biondi, e restò senza dire niente.
— Allora, buona vecchia, — disse il Re, — nessuna ventura ci dici ?
— E che posso dire, Maestà?
— Come che posso dire? Parlare devi.
La vecchia, costretta, dovette allora parlare, e disse:
— Che io sappia, Maestà, questa picciridda corre un perico­lo grande assai: fra altri sette anni e mezzo, quando avrà appunto quindici anni, ci sarà una forte nebbia, una scossa di terre­moto, e in città arriverà qualcuno: se non proteggete questa picciridda
- ma proteggerla sarà inutile!
- l'agguanterà e, povera figlia, morta sarà.
A questa mala nova, il povero padre e la povera madre si sentirono morire. Che si fa, che non si fa, nessuna speranza ave­vano, e intanto gli anni passavano.
La picciotta aveva ormai quattordici anni e mezzo, e padre e madre, meschini, piangevano, si strappavano i capelli, non sapendo cosa fare, che entro sei mesi la figlia loro era perduta.
Un giorno il Re scese al mare per sfogarsi a piangere senza farsi sentire dalla figlia, e vide una barchetta senza padrone, senza remi e senza vela.
All'improvviso la mente gli si aprì. — Fu Dio a mandarla, — si disse, — ogni cosa s'è aggiustata!
Tornò di corsa al palazzo e disse alla figlia: — Senti, Sici­lia, — così la picciotta si chiamava, — Dio mi offrì il mezzo per salvarti. Salirai su una barca, dove ci saranno tesori in quantità, pane, vino e companatico. Dio te la mandi buona: il mare e la fortuna ti porteranno in salvo.
Sicilia salì sulla barca, e la barca partì spinta dalle onde. Gira di qua, gira di là, la povera Sicilia per tre mesi andò per ma­re senza sapere sotto quale cielo fosse, e senza mai vedere la faccia d'un cristiano. Poi il pane finì e cominciò a sentir fame. — Ora muoio per davvero, — si disse, e si sdraiò sul fondo della barca. Era proprio allo stremo, quando Dio le dette aiuto. Venne una forte mareggiata e un'onda altissima si caricò la barca e la trascinò sopra una spiaggia. Che combina la fortuna? La ter­ra sulla quale arrivò era questa nostra, l'isola dove abitiamo noi, e così Sicilia si salvò dal mare, e per di più con tutti i tesori che aveva.
Camminando per quella terra, Sicilia trovò un vero ben di Dio: frutta d'ogni qualità, uccelli, frumento e ogni genere di selvaggina, insomma tutto quello che può desiderare una donna incinta o malata; ma di uomini non si vedeva neanche l'ombra.
— Come faccio sola sola? Vero è che sono in un paradiso, ma così deserto che neanche gli animali ci stanno bene!
La mischina piangeva perché, di riffe o di raffe, era sempre sventurata. Si sentiva persa e veramente disperata. Ma dopo un mese che era stata spinta a terra, mentre si lamentava ad alta voce vide apparire un uomo bellissimo, alto quanto uno stendardo.
— Che hai, bella giovane, — chiese l'uomo, — perché piangi?
— E come non potrei piangere, — rispose lei, — sfortunata come sono? Sentite... — e gli raccontò tutta la sua storia.
L'uomo prima si stupì, poi, tutto contento, disse: — Non disperare, le cose si sono aggiustate, e noi saremo felici. Devi sapere che in questa terra venne la peste, tutti gli abitanti morirono fino all'ultimo, e restai io solo, per mia disgrazia, disperato come un condannato alla galera a vita.
Ora per fortuna arrivasti tu, è il cielo che ti mandò.
Solo lui, sola lei, belli e picciotti tutti e due, la cosa non si poteva combinare meglio, e si può immaginare come ne furono contenti.
Sicilia si maritò infatti con quest'uomo che era veramente capace e coraggioso, dall'aspetto d'un vero cavaliere. Così, padrone di tutto quel regno, con tanti tesori e con tutto ciò che quella terra produceva, lui fu felice e stimava Sicilia quanto la pupilla degli occhi suoi; per amor suo volle chiamare quella terra Sicilia, come infatti si chiama da allora.
I due sposi ebbero un esercito di figli, tutti robusti, ingegnosi e belli come il padre e la madre, e, di madre in figlio, l'isola si popolò di nuovo e meglio di prima.

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