Si conta e si racconta che c'era una volta un Re e una Regina che avevano un'unica bambina, una picciridda bella quanto Dio la poté fare.
Questo Re e questa Regina erano tanto felici di avere questa Reginella e si beavano solo al guardarla.
Quando la picciridda ebbe sette anni e mezzo passò una vecchia chiromante.
— Oh, — disse il Re, — vogliamo far predire il futuro a nostra figlia ?
— Buono è, — disse la Regina, — facciamoglielo predire. E chiamarono la vecchia.
— Eccoti cinque monete: predici il futuro a questa picciridda.
La vecchia le guardò la palma della mano, la osservò avanti e dietro, poi le mise una mano sui capelluzzi biondi, e restò senza dire niente.
— Allora, buona vecchia, — disse il Re, — nessuna ventura ci dici ?
— E che posso dire, Maestà?
— Come che posso dire? Parlare devi.
La vecchia, costretta, dovette allora parlare, e disse:
— Che io sappia, Maestà, questa picciridda corre un pericolo grande assai: fra altri sette anni e mezzo, quando avrà appunto quindici anni, ci sarà una forte nebbia, una scossa di terremoto, e in città arriverà qualcuno: se non proteggete questa picciridda
- ma proteggerla sarà inutile!
- l'agguanterà e, povera figlia, morta sarà.
A questa mala nova, il povero padre e la povera madre si sentirono morire. Che si fa, che non si fa, nessuna speranza avevano, e intanto gli anni passavano.
La picciotta aveva ormai quattordici anni e mezzo, e padre e madre, meschini, piangevano, si strappavano i capelli, non sapendo cosa fare, che entro sei mesi la figlia loro era perduta.
Un giorno il Re scese al mare per sfogarsi a piangere senza farsi sentire dalla figlia, e vide una barchetta senza padrone, senza remi e senza vela.
All'improvviso la mente gli si aprì. — Fu Dio a mandarla, — si disse, — ogni cosa s'è aggiustata!
Tornò di corsa al palazzo e disse alla figlia: — Senti, Sicilia, — così la picciotta si chiamava, — Dio mi offrì il mezzo per salvarti. Salirai su una barca, dove ci saranno tesori in quantità, pane, vino e companatico. Dio te la mandi buona: il mare e la fortuna ti porteranno in salvo.
Sicilia salì sulla barca, e la barca partì spinta dalle onde. Gira di qua, gira di là, la povera Sicilia per tre mesi andò per mare senza sapere sotto quale cielo fosse, e senza mai vedere la faccia d'un cristiano. Poi il pane finì e cominciò a sentir fame. — Ora muoio per davvero, — si disse, e si sdraiò sul fondo della barca. Era proprio allo stremo, quando Dio le dette aiuto. Venne una forte mareggiata e un'onda altissima si caricò la barca e la trascinò sopra una spiaggia. Che combina la fortuna? La terra sulla quale arrivò era questa nostra, l'isola dove abitiamo noi, e così Sicilia si salvò dal mare, e per di più con tutti i tesori che aveva.
Camminando per quella terra, Sicilia trovò un vero ben di Dio: frutta d'ogni qualità, uccelli, frumento e ogni genere di selvaggina, insomma tutto quello che può desiderare una donna incinta o malata; ma di uomini non si vedeva neanche l'ombra.
— Come faccio sola sola? Vero è che sono in un paradiso, ma così deserto che neanche gli animali ci stanno bene!
La mischina piangeva perché, di riffe o di raffe, era sempre sventurata. Si sentiva persa e veramente disperata. Ma dopo un mese che era stata spinta a terra, mentre si lamentava ad alta voce vide apparire un uomo bellissimo, alto quanto uno stendardo.
— Che hai, bella giovane, — chiese l'uomo, — perché piangi?
— E come non potrei piangere, — rispose lei, — sfortunata come sono? Sentite... — e gli raccontò tutta la sua storia.
L'uomo prima si stupì, poi, tutto contento, disse: — Non disperare, le cose si sono aggiustate, e noi saremo felici. Devi sapere che in questa terra venne la peste, tutti gli abitanti morirono fino all'ultimo, e restai io solo, per mia disgrazia, disperato come un condannato alla galera a vita.
Ora per fortuna arrivasti tu, è il cielo che ti mandò.
Solo lui, sola lei, belli e picciotti tutti e due, la cosa non si poteva combinare meglio, e si può immaginare come ne furono contenti.
Sicilia si maritò infatti con quest'uomo che era veramente capace e coraggioso, dall'aspetto d'un vero cavaliere. Così, padrone di tutto quel regno, con tanti tesori e con tutto ciò che quella terra produceva, lui fu felice e stimava Sicilia quanto la pupilla degli occhi suoi; per amor suo volle chiamare quella terra Sicilia, come infatti si chiama da allora.
I due sposi ebbero un esercito di figli, tutti robusti, ingegnosi e belli come il padre e la madre, e, di madre in figlio, l'isola si popolò di nuovo e meglio di prima.
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