Il castello di Calatabiano (Arabo-Normanno IX secolo) è un rudere medioevale che sorge su una collina che sovrasta la valle raggiungibile con un panoramico ascensore inclinato, che permette una splendida vista di Taormina, della baia di Giardini Naxos e dell’Etna. Il recente lavoro di restauro ha portato alla luce un sito archeologico-monumentale: i resti di un impianto greco-romano, un Kastron bizantino col suo mastio imprendibile, il castello medievale con le sue sale, la corte e una graziosa cappella. La prima documentazione certa relativa al castello di Calatabiano si rileva da una carta della Sicilia in cui il geografo e viaggiatore arabo Abu ‘Abd Allah Muhammad ibn Idris (1099-1164) rappresentava l’Isola e i suoi sistemi fortificati. Qui il massiccio dell’Etna appare sul lato sinistro ed è lambito dai due fiumi Simeto e Alcantara. Proprio lungo le sponde del fiume Al-Kantar (il ponte) appaiono rappresentate due fortezze speculari Tauromenion e Kalaat-al Bian (Rocca di Biano). Passeggiando per il castello si gode di una vista incomparabile di tutta la valle dell’Alcantara.
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lunedì 14 gennaio 2013
Castello di Brucoli - Siracusa
Il Castello di Brucoli nacque con la funzione di sorvegliare e proteggere, in primo luogo contro le scorrerie turco-barbaresche, il porto e caricatore di Brucoli esistente almeno già dalla fine del XIV secolo, nella baia che si apre tra capo Campolato e la costa a settentrione di esso. Nel XVIII secolo il castello, da cui si domina buona parte del golfo di Catania, fu utilizzato quale posto di guardia e di avvistamento con un presidio militare alle dipendenze della vicina piazzaforte di Augusta.
Il nucleo originario della fortezza fu una costruzione rettangolare (15 x 12,60 metri), compatta e robusta, a più piani, alta 20 metri circa, con i lati lunghi orientati nord-ovest/sud-est.
Il castello di Brucoli, piccolo gioiello d’arte militare, fu voluto da re Giovanni II di Aragona quale dono alla regina Giovanna. Quest’ultima, nel 1468, affidò l’incarico di costruirlo a Giovanni Cabastida, Governatore Generale della Camera Regionale di Siracusa, un devoto ciambellano originario di Barcellona, che lo ebbe in concessione per tre generazioni.
La motivazione che spinse il lungimirante re Giovanni II di Aragona alla costruzione di una simile opera fortificata, era principalmente quella di premunirsi contro la preoccupante crescita della potenza turca. Nel secolo successivo all’edificazione del castello, alle incursioni dei Turchi si vennero ad aggiungere quelle barbaresche dalle coste settentrionali dell’Africa, cui tra l’altro è legata la leggenda del Santo Patrono.
Oltre che per scopi difensivi militareschi, la fortezza sorse all’imboccatura del porto-canale per controllare i commerci marittimi e custodirne le derrate di grano che vi confluivano. Dunque a protezione di quei traffici e del piccolo villaggio che sorgeva ai suoi piedi, il castello assumeva un ruolo di protezione fondamentale.
Secondo autorevoli studi, in origine, la struttura del castello constava della sola torre quadrata centrale, che ancora è visibile, ma che probabilmente svettava più alta e imponente dell’attuale. Successiva è la cortina muraria di difesa, di forma rettangolare, ai cui angoli sono quattro imponenti torrioni circolari. Tra le molte sovrapposizioni presenti nella struttura del castello, degne di menzione sono le due garitte, edificate probabilmente nel XVII sec.
Al suo interno erano diversi locali, quali la dimora del castellano, la foresteria, la cappella, l’armeria, le cucine, le scuderie e le carceri.Castello Di Donnafugata - Ragusa
Il Castello di Donnafugata, al contrario di quanto il nome possa far pensare, non si tratta di un vero e proprio castello medievale bensì di una sontuosa dimora nobiliare del tardo '800. La dimora sovrastava quelli che erano i possedimenti della ricca famiglia Arezzo De Spuches.
Fin dall'arrivo il castello rivela la sua sontuosità. L'edificio copre un'area di circa 2500 metri quadrati ed un'ampia facciata, coronata da due torri laterali accoglie i visitatori. La facciata principale e' ornata da una bellissima loggia in stile gotico-veneziano, con otto balconi a sesto acuto che danno accesso alla grande terrazza sottostante la loggia, mentre delle belle bifore ingentiliscono le altre facciate.
La dimora, suddivisa in tre piani, conta 122 stanze di cui una ventina sono oggi fruibili ai visitatori. Visitando le stanze che contengono ancora gli arredi ed i mobili originali dell'epoca, sembra quasi di fare un salto nel passato, nell'epoca degli ultimi "gattopardi". Ogni stanza era arredata con gusto diverso ed aveva una funzione diversa.
Da ricordare la Stanza della Musica con bei dipinti a trompe-l'oeil, la grande Sala degli Stemmi con i blasoni di tutte le famiglie nobili siciliane e due antiche armature, il Salone degli Specchi (ornato da stucchi), la pinacoteca con quadri neoclassici della scuola di Luca Giordano. Notevole, poi, il cosiddetto Appartamento del Vescovo, con splendidi mobili Boulle, riservato esclusivamente all'alto prelato (un membro della famiglia Arezzo nel Settecento). Interessante notare il largo uso della pietra pece locale per la pavimentazione delle stanze.
Intorno al castello si trova un ampio e monumentale parco di 8 ettari. Contava oltre 1500 specie vegetali e varie "distrazioni" che dovevano allietare e divertire gli ospiti, come il tempietto circolare, la Coffee House (per dare ristoro), alcune "grotte" artificiali dotate di finte stalattiti (sotto il tempietto) o il particolare labirinto in pietra costruito nella tipica muratura a secco del ragusano, e poi alcune vasche e disseminati parecchi vasi di Caltagirone.
Il parco del castello di Donnafugata a Ragusa può essere considerato uno dei pochi giardini storici di grande pregio tuttora esistenti in Sicilia. Purtroppo il processo di abbandono, iniziato gia' con la proprietà della famiglia Arezzo/Testasecca, è continuato anche con la gestione pubblica, nonostante i segnali di buona volontà dimostrati in questi anni. Questa sorta di vuoto di gestione va attribuito, più che ad una precisa volontà politica, all'assenza generalizzata di "cultura paesaggistica" che caratterizza il nostro paese. Infatti, a distanza di quasi vent'anni dalla "Carta di Firenze" (1981), è difficile far passare il principio che un giardino è un "bene storico-artistico" e come tale va salvaguardato intervenendo solo con operazioni di restauro e ripristino. Nel nostro caso l'assenza di questa consapevolezza si è tradotta da un lato in una gestione superficiale del parco che lo ha privato delle più elementari operazioni di manutenzione ordinaria come le potature e le annaffiature di soccorso nei periodi di siccità, e dall'altra in interventi infelici, quali ad esempio la realizzazione di muretti a secco che hanno deturpato il disegno del parco, o l'uso di parte di esso a maneggio.
Il parco del castello di Donnafugata a Ragusa può essere considerato uno dei pochi giardini storici di grande pregio tuttora esistenti in Sicilia. Purtroppo il processo di abbandono, iniziato gia' con la proprietà della famiglia Arezzo/Testasecca, è continuato anche con la gestione pubblica, nonostante i segnali di buona volontà dimostrati in questi anni. Questa sorta di vuoto di gestione va attribuito, più che ad una precisa volontà politica, all'assenza generalizzata di "cultura paesaggistica" che caratterizza il nostro paese. Infatti, a distanza di quasi vent'anni dalla "Carta di Firenze" (1981), è difficile far passare il principio che un giardino è un "bene storico-artistico" e come tale va salvaguardato intervenendo solo con operazioni di restauro e ripristino. Nel nostro caso l'assenza di questa consapevolezza si è tradotta da un lato in una gestione superficiale del parco che lo ha privato delle più elementari operazioni di manutenzione ordinaria come le potature e le annaffiature di soccorso nei periodi di siccità, e dall'altra in interventi infelici, quali ad esempio la realizzazione di muretti a secco che hanno deturpato il disegno del parco, o l'uso di parte di esso a maneggio.
venerdì 11 gennaio 2013
Castello Di Caccamo - Palermo
Sede di una lunga pagina della storia siciliana, il castello di Caccamo è uno dei castelli più prestigiosi e attraenti della Sicilia, oltre ad essere il più grande.
Eretto su un alto basamento roccioso a dominare il paesaggio, luogo di guardia e di controllo, fortezza ma ugualmente maniero signorile che nell'ampio giro delle corti e nei saloni organizza la sua funzione di residenza e di rappresentanza, il castello appare al visitatore che si accinge a entrare in città come una presenza incombente e altera; disposto sulla piattaforma come un naturale prolungamento delle irte pareti di pietra, come a seguirne il perimetro nello snodarsi di porte, torri e mura, l'edificio palesa nella sua articolazione complessa le vicende e le trasformazioni che hanno condotto alla costruzione attuale in un lungo processo di accrescimenti, aggiunte e modifiche protrattosi per secoli.
L'imponente struttura difensiva era strutturata su quattro torri esterne - la torre di Byrsarone o Pizzarrone a valle, quella della Piazza, diroccata nel 1627 durante i lavori di ampliamento del Duomo, e quella detta Brancica poi inserita ugualmente con funzione campanaria, nella facciata della Chiesa della SS. Annunziata -; e su tre torri interne a difesa di un più ristretto giro di mura, la torre Mastra (crollata,in parte, in seguito al terremoto del 1823), la torre Gibellina e quella della Fossa o del Dammuso. La prima realizzazione, già durante i primi anni del regno normanno, fu probabilmente una semplice torre di avvistamento (ma non è da escludere che una uguale costruzione fosse stata edificata dai musulmani con le stesse funzioni) poi ampliata con scopi difensivi sino al primo organico disegno di trasformazione da parte di Manfredi I Chiaramonte intorno agli inizi del XIV secolo: furono allora ristrutturate le fortificazioni esistenti, rafforzate la torre di Byrsarone e la cinta muraria, edificate una nuova ala a nord-est e la torre Gibellina.
Questo impianto fu ulteriormente ampliato a partire dal 1398 da Giaimo de Prades, che aggiunse la torre del Dammuso nel prospetto meridionale e munì di torri lo spigolo sul fronte a nord-est. Successivamente, durante la signoria degli Henriquez-Cabrera, fu realizzata la grande sala delle udienze (trasformata quindi in teatro nel corso del XIX secolo) che sancisce la mutata funzione del castello da presidio territoriale a luogo di residenza e di amministrazione della giustizia.
Gli Amato compirono le ultime trasformazioni dell'edificio, accorpando gli ambienti per realizzare larghi saloni, aprendo terrazze e balconi, e evidenziando la nuova finalità di rappresentanza del manufatto nell'imponente portale dell'ingresso interno. Il castello è stato acquisito nel 1963 dalla Regione Siciliana dagli ultimi proprietari, i principi De Spuches; i lavori di consolidamento e di restauro, hanno consentito di leggere con migliore esattezza la ricchissima stratificazione di stili e tecniche costruttive dell'edificio. La salita al castello avviene per un lungo passaggio a gradoni, protetto a destra da una successione di merli e chiuso a sinistra dai corpi edificati nel XV secolo da Giaimo de Prades; il bassorilevo in pietra con la mano che regge una bilancia sanziona il diritto baronale di amministrare la giustizia. L'atrio successivo apre, a sinistra, sulle scuderie e sulla soprastante sala delle udienze con la piccola loggia, e a destra sul corpo di guardia. Attraverso un arco a tutto sesto (che a sua volta sorregge un arco a sesto acuto di età chiaramontana) si giunge quindi al terrazzo panoramico sulla vallata, su cui sorge la piccola cappella di corte.
Poco più avanti da un ingresso ad arco a sesto acuto si accede ai locali delle carceri, le cui pareti di alcune celle presentano numerosi graffiti e dipinti realizzati dai detenuti. Il grande atrio con il portale seicentesco immette quindi nella grande sala della congiura (chiamata così perchè secondo la leggenda ospitò, nel 1160, la congiura dei baroni capeggiata da Matteo Bonello contro Guglielmo il Malo); i locali sottostanti erano riservati a magazzini e alla servitù.
Il piano nobile si sviluppa in senso longitudinale e termina alle sue estremità con due terrazze che avevano funzioni diametralmente opposte: una, attigua alla Prades, serviva al controllo dell'antico ingresso e l'altra, insieme alle torri, a quello delle vie esterne. I tetti lignei dei vari ambienti sono decorati con motivi floreali in stile barocco e risalgono, probabilmente, alla prima metà del '600, durante la signoria del principe D. Antonio Amato Folch di Cardona. In una stanza attugua ala sala della congiura, si trova una finestra pentalobata che da alcuni è fatta risalire al periodo chiaramontano, ma da altri a quello arabo. Il castello, con le sue possenti strutture, rimane a testimoniare la potenza delle varie famiglie che nei secoli ne ebbero il possesso e proietta l'eco del loro dispotismo e della loro liberalità. Presenta molteplici logge, spaziosi atrii, severi alloggiamenti per i soldati, ampie scuderie, ballatoi, trabocchetti e catene ininterrotte di merlature.
Questo impianto fu ulteriormente ampliato a partire dal 1398 da Giaimo de Prades, che aggiunse la torre del Dammuso nel prospetto meridionale e munì di torri lo spigolo sul fronte a nord-est. Successivamente, durante la signoria degli Henriquez-Cabrera, fu realizzata la grande sala delle udienze (trasformata quindi in teatro nel corso del XIX secolo) che sancisce la mutata funzione del castello da presidio territoriale a luogo di residenza e di amministrazione della giustizia.
Gli Amato compirono le ultime trasformazioni dell'edificio, accorpando gli ambienti per realizzare larghi saloni, aprendo terrazze e balconi, e evidenziando la nuova finalità di rappresentanza del manufatto nell'imponente portale dell'ingresso interno. Il castello è stato acquisito nel 1963 dalla Regione Siciliana dagli ultimi proprietari, i principi De Spuches; i lavori di consolidamento e di restauro, hanno consentito di leggere con migliore esattezza la ricchissima stratificazione di stili e tecniche costruttive dell'edificio. La salita al castello avviene per un lungo passaggio a gradoni, protetto a destra da una successione di merli e chiuso a sinistra dai corpi edificati nel XV secolo da Giaimo de Prades; il bassorilevo in pietra con la mano che regge una bilancia sanziona il diritto baronale di amministrare la giustizia. L'atrio successivo apre, a sinistra, sulle scuderie e sulla soprastante sala delle udienze con la piccola loggia, e a destra sul corpo di guardia. Attraverso un arco a tutto sesto (che a sua volta sorregge un arco a sesto acuto di età chiaramontana) si giunge quindi al terrazzo panoramico sulla vallata, su cui sorge la piccola cappella di corte.
Poco più avanti da un ingresso ad arco a sesto acuto si accede ai locali delle carceri, le cui pareti di alcune celle presentano numerosi graffiti e dipinti realizzati dai detenuti. Il grande atrio con il portale seicentesco immette quindi nella grande sala della congiura (chiamata così perchè secondo la leggenda ospitò, nel 1160, la congiura dei baroni capeggiata da Matteo Bonello contro Guglielmo il Malo); i locali sottostanti erano riservati a magazzini e alla servitù.
Il piano nobile si sviluppa in senso longitudinale e termina alle sue estremità con due terrazze che avevano funzioni diametralmente opposte: una, attigua alla Prades, serviva al controllo dell'antico ingresso e l'altra, insieme alle torri, a quello delle vie esterne. I tetti lignei dei vari ambienti sono decorati con motivi floreali in stile barocco e risalgono, probabilmente, alla prima metà del '600, durante la signoria del principe D. Antonio Amato Folch di Cardona. In una stanza attugua ala sala della congiura, si trova una finestra pentalobata che da alcuni è fatta risalire al periodo chiaramontano, ma da altri a quello arabo. Il castello, con le sue possenti strutture, rimane a testimoniare la potenza delle varie famiglie che nei secoli ne ebbero il possesso e proietta l'eco del loro dispotismo e della loro liberalità. Presenta molteplici logge, spaziosi atrii, severi alloggiamenti per i soldati, ampie scuderie, ballatoi, trabocchetti e catene ininterrotte di merlature.
Castello di Mussomeli - Caltanissetta
Arroccato su una montagna, Mussomeli è un paese ricco di storia e d'arte. Il suo territorio difatti, fu abitato dai Sicani, dai Greci, dai Romani e dagli Arabi e in ogni angolo si trovano tracce di queste antiche presenze.
Fiore all'occhiello della città è lo splendido Castello Manfredonico Chiaromontano, simbolo del potere dei baroni feudali e grandiosa opera architettonica che ci è pervenuta conservata molto bene. Fatto edificare nel 1364 da Manfredi II Chiaramonte, il maniero sorge su uno sperone di roccia calcarea di circa 80 metri di altezza alla periferia di Mussomeli ed è un chiaro esempio di arte gotica per i tipici archi ogivali e le bifore che lo caratterizzano. Ha un aspetto massiccio per la buona qualità della malta utilizzata e della pietra ricavata dalla stessa roccia, l'uso abbondante di piedritti (elemento architettonico verticale portante) negli archi e nelle cantonate che lo hanno fatto resistere alle intemperie di ben sei secoli.
Il maniero è circondato da due fasci di mura, uno posto a difesa della stradella di accesso e l'altro sulla vetta che racchiude la parte residenziale. Dopo aver imboccato la strada di accesso e attraversato un ponte levatoio si arriva dinanzi la porta ad arco del castello che introduce all'interno del primo recinto murario. Ai lati della porta si possono ammirare due stemmi intagliati sopra dadi in pietra raffiguranti un giglio, il cui significato simbolico è controverso. Di fronte all'ingresso si trovano invece, i ruderi di una scuderia e di un fienile. Imboccando una seconda rampa si arriva all'ingresso vero e proprio, circondato anch'esso da mura a forma di poligono irregolare (con sette lati), che per il loro stato di conservazione si presume siano più recenti rispetto alle prime. Il lato sud-est del castello è fortificato su tutti i quattro lati a strapiombo da un muro merlato su cui sono disposte delle bifore. Attraverso una porta ci si ritrova all'interno di un cortile delimitato dalle mura e da una cappella. Nel cortile inoltre, vi è un portone di stile gotico che conduce alla grande sala dei Baroni detta la "sala del trono", che per la forma del tetto, si presume sia di epoca posteriore. Da questa stanza, mediante un piccolo corridoio, si arriva alla saletta 'delle tre donne' e da questa si passa alla prima sala con volta a crociera detta 'del camino'. Da qui si può accedere ad un'altra maestosa sala coperta da due volte a crociera (la camera da letto) che conduce a due torrette semicircolari che sporgono a valle. Ritornando all'atrio del castello si può scendere nei sotterranei, in buona parte scavati nella roccia, dove si possono ammirare la sala d'armi e una serie di pozzi illuminati da poche feritoie o interamente al buio, destinati ai domestici, uomini d’armi, utilizzati come magazzini o cantine e per altri usi di servizio. Sempre dall'atrio del castello, si può raggiungere la cappella dedicata alla Madonna delle Catene che presenta una porta ben decorata e un tetto formato da due volte a crociera divise da un arco mediano. Nella vetta della roccia si trova una costruzione rettangolare con mura spesse, il maschio che i mussomelesi chiamano il mulino a vento.
Fiore all'occhiello della città è lo splendido Castello Manfredonico Chiaromontano, simbolo del potere dei baroni feudali e grandiosa opera architettonica che ci è pervenuta conservata molto bene. Fatto edificare nel 1364 da Manfredi II Chiaramonte, il maniero sorge su uno sperone di roccia calcarea di circa 80 metri di altezza alla periferia di Mussomeli ed è un chiaro esempio di arte gotica per i tipici archi ogivali e le bifore che lo caratterizzano. Ha un aspetto massiccio per la buona qualità della malta utilizzata e della pietra ricavata dalla stessa roccia, l'uso abbondante di piedritti (elemento architettonico verticale portante) negli archi e nelle cantonate che lo hanno fatto resistere alle intemperie di ben sei secoli.
Il maniero è circondato da due fasci di mura, uno posto a difesa della stradella di accesso e l'altro sulla vetta che racchiude la parte residenziale. Dopo aver imboccato la strada di accesso e attraversato un ponte levatoio si arriva dinanzi la porta ad arco del castello che introduce all'interno del primo recinto murario. Ai lati della porta si possono ammirare due stemmi intagliati sopra dadi in pietra raffiguranti un giglio, il cui significato simbolico è controverso. Di fronte all'ingresso si trovano invece, i ruderi di una scuderia e di un fienile. Imboccando una seconda rampa si arriva all'ingresso vero e proprio, circondato anch'esso da mura a forma di poligono irregolare (con sette lati), che per il loro stato di conservazione si presume siano più recenti rispetto alle prime. Il lato sud-est del castello è fortificato su tutti i quattro lati a strapiombo da un muro merlato su cui sono disposte delle bifore. Attraverso una porta ci si ritrova all'interno di un cortile delimitato dalle mura e da una cappella. Nel cortile inoltre, vi è un portone di stile gotico che conduce alla grande sala dei Baroni detta la "sala del trono", che per la forma del tetto, si presume sia di epoca posteriore. Da questa stanza, mediante un piccolo corridoio, si arriva alla saletta 'delle tre donne' e da questa si passa alla prima sala con volta a crociera detta 'del camino'. Da qui si può accedere ad un'altra maestosa sala coperta da due volte a crociera (la camera da letto) che conduce a due torrette semicircolari che sporgono a valle. Ritornando all'atrio del castello si può scendere nei sotterranei, in buona parte scavati nella roccia, dove si possono ammirare la sala d'armi e una serie di pozzi illuminati da poche feritoie o interamente al buio, destinati ai domestici, uomini d’armi, utilizzati come magazzini o cantine e per altri usi di servizio. Sempre dall'atrio del castello, si può raggiungere la cappella dedicata alla Madonna delle Catene che presenta una porta ben decorata e un tetto formato da due volte a crociera divise da un arco mediano. Nella vetta della roccia si trova una costruzione rettangolare con mura spesse, il maschio che i mussomelesi chiamano il mulino a vento.
Le leggende - Il Castello di Mussomeli è stato da sempre un punto di riferimento per tutti coloro che si interessano all'occulto a causa dei numerosi avvenimenti tragici che qui avvennero. Si narra ad esempio, che per le stanze del maniero di aggirino diversi fantasmi in cerca di pace. Uno di questi sarebbe lo spettro di un soldato innamorato della bella figlia di Manfredi. Il soldato pazzo d'amore non ci pensò due volte a sfidare le ire di Manfredi che, adirato per quello che riteneva un gravissimo affronto, lo fece rinchiudere in una torre per morire di stenti. Il soldato tuttavia preferì buttarsi giù per sfuggire alla crudele condanna.
Altra leggenda narra della morte di un gruppo di nobili attirati con l´inganno nel castello e lessati vivi con getti di olio bollente. Un altra presenza che si aggira per le stanze del palazzo è quella di Laura Lanza, baronessa di Carini, assassinata nel castello di Carini, dal padre Cesare, perchè sorpresa con il suo presunto amante Ludovico Vernagallo di Montelepre. E' tra le rocce fortificate del castello di Mussomeli che si rifugiò, in preda al rimorso, Cesare Lanza non pensando però che lo spettro della figlia lo avrebbe seguito sin qui per capire il perchè di tanta crudeltà. Il fantasma è di una donna giovane ed elegante, dalle perfette sembianze umane, vestita di abiti cinquecenteschi, la cui materializzazione, secondo testimoni oculari, è talmente realistica che, se non fosse per l'abbigliamento di un'altra epoca, la si potrebbe confondere per una donna realmente vivente. Laura indosserebbe un'ampia gonna di seta e un corpetto sul quale avvolge uno scialle finemente ricamato. Chiunque si trovi a visitare il castello potrebbe incontrarla mentre vaga per le tre stanze più grandi del maniero oppure mentre si reca alla cappella, dove si inginocchia e prega. La stanza delle 'tre donne' custodisce anch'essa una terribile storia di gelosia e morte. Qui infatti sarebbero state murate vive dal ricco e potente principe Federico le sue tre sorelle Clotilde, Margherita e Costanza durante una campagna militare. La guerra però durò più del previsto e le tre sfortunate morirono di inedia dato che il cibo che gli avevano lasciato era insufficiente per il loro mantenimento. Non avendo nulla di cui nutrirsi le poverette tentarono di mangiarsi le loro scarpe. Finita la guerra Federico, tornato a casa, trovò le sorelle con le scarpe strette tra i denti.
Una storia più recente risale al 19 Luglio del 1975 quando il guardiano del castello, un certo Pasquale Messina, ha assistito per la prima volta alla materializzazione del fantasma di Guiscardo de la Portes, un uomo giovane e bello arrivato in Sicilia nel 1392 al seguito di re Martino per sedare alcune rivolte. Guiscardo aveva lasciato a casa la bellissima moglie Esmeralda che a quel tempo era incinta del suo primo figlio e fu ucciso mentre si recava al castello di Mussomeli dai seguaci di Don Martinez, che tanto lo odiava perchè non aveva potuto avere Esmeralda. Anziché pregare in punto di morte Guiscardo imprecò contro Dio che lo condannò a vagare per mille anni sulla terra prima di trovare pace. Oltre che un po' di pace il fantasma cerca anche di incontrare suo figlio che non ha mai conosciuto. In molti a Mussomeli credono a questa storia tanto più che Guiscardo è apparso successivamente anche ad un gruppo di turisti in visita al castello.
Pillole di storia - Il castello fu fatto edificare nel 1364 (o 1367) da Manfredi II Chiaromonte molto probabilmente su un precedente casale arabo e completato agli inizi del 1400. In realtà fu abitato sin dal 1374 quando era già arredato e alcuni mobili erano stati scavati nella roccia, come sedili, armadietti, cucine ed altro. A testimoniare ciò, la visita che il 13 Novembre dello stesso anno fecero il re Federico III d'Aragona e la regina Antonia del Balzo. Nel 1391 al vecchio Manfredi succedette il cugino Andrea Chiaromonte, cavaliere audace e coraggioso. Nel castello fu organizzata una riunione dei più potenti baroni siciliani per resistere agli Aragonesi, ma il patto raggiunto non fu mantenuto dai baroni e Andrea, abbandonato da tutti, fu fatto arrestare e condannare a morte l'1 Giugno 1392 in Piazza Marina, a Palermo. Dopo questo tragico evento a Mussomeli si succedettero diversi signori: i Moncada de Prades, Castellar de Valenza, Perapertusa, Ventimiglia e i Campo che vi rimasero per circa ottant'anni. Nel 1546 la signoria passò a Don Cesare Lanza fino all'abolizione della feudalità nel 1812. Don Cesare, uno dei personaggi più influenti dell'epoca, fondò il monastero delle Benedettine, fece costruire la torre dell'orologio e la conduttura dell'acqua del bosco, esercitò il commercio e migliorò ogni attività della sua contea, rendendo la vita più dignitosa dei suoi agricoltori. Purtroppo però raramente viene ricordato per tutto ciò che di positivo fece in queste terre. Il suo nome invece, è entrato nella leggenda per l'efferato omicidio della figlia Donna Laura, baronessa di Carini. A Don Cesare Lanza successe il figlio Don Ottavio Lanza e Centelles, conte di Mussomeli e barone di Trabia, e i suoi discendenti che abitarono il castello sino al 1603 e arricchirono il paese con il palazzo del Principe, la caratteristica Fontana del Nettuno e tante altre costruzioni. In seguito il castello fu adibito a carcere e poi abbandonato. Nel 1909-10, per incarico dell'Onorevole Pietro Lanza, principe di Trabia, il castello fu restaurato.
Altra leggenda narra della morte di un gruppo di nobili attirati con l´inganno nel castello e lessati vivi con getti di olio bollente. Un altra presenza che si aggira per le stanze del palazzo è quella di Laura Lanza, baronessa di Carini, assassinata nel castello di Carini, dal padre Cesare, perchè sorpresa con il suo presunto amante Ludovico Vernagallo di Montelepre. E' tra le rocce fortificate del castello di Mussomeli che si rifugiò, in preda al rimorso, Cesare Lanza non pensando però che lo spettro della figlia lo avrebbe seguito sin qui per capire il perchè di tanta crudeltà. Il fantasma è di una donna giovane ed elegante, dalle perfette sembianze umane, vestita di abiti cinquecenteschi, la cui materializzazione, secondo testimoni oculari, è talmente realistica che, se non fosse per l'abbigliamento di un'altra epoca, la si potrebbe confondere per una donna realmente vivente. Laura indosserebbe un'ampia gonna di seta e un corpetto sul quale avvolge uno scialle finemente ricamato. Chiunque si trovi a visitare il castello potrebbe incontrarla mentre vaga per le tre stanze più grandi del maniero oppure mentre si reca alla cappella, dove si inginocchia e prega. La stanza delle 'tre donne' custodisce anch'essa una terribile storia di gelosia e morte. Qui infatti sarebbero state murate vive dal ricco e potente principe Federico le sue tre sorelle Clotilde, Margherita e Costanza durante una campagna militare. La guerra però durò più del previsto e le tre sfortunate morirono di inedia dato che il cibo che gli avevano lasciato era insufficiente per il loro mantenimento. Non avendo nulla di cui nutrirsi le poverette tentarono di mangiarsi le loro scarpe. Finita la guerra Federico, tornato a casa, trovò le sorelle con le scarpe strette tra i denti.
Una storia più recente risale al 19 Luglio del 1975 quando il guardiano del castello, un certo Pasquale Messina, ha assistito per la prima volta alla materializzazione del fantasma di Guiscardo de la Portes, un uomo giovane e bello arrivato in Sicilia nel 1392 al seguito di re Martino per sedare alcune rivolte. Guiscardo aveva lasciato a casa la bellissima moglie Esmeralda che a quel tempo era incinta del suo primo figlio e fu ucciso mentre si recava al castello di Mussomeli dai seguaci di Don Martinez, che tanto lo odiava perchè non aveva potuto avere Esmeralda. Anziché pregare in punto di morte Guiscardo imprecò contro Dio che lo condannò a vagare per mille anni sulla terra prima di trovare pace. Oltre che un po' di pace il fantasma cerca anche di incontrare suo figlio che non ha mai conosciuto. In molti a Mussomeli credono a questa storia tanto più che Guiscardo è apparso successivamente anche ad un gruppo di turisti in visita al castello.
Pillole di storia - Il castello fu fatto edificare nel 1364 (o 1367) da Manfredi II Chiaromonte molto probabilmente su un precedente casale arabo e completato agli inizi del 1400. In realtà fu abitato sin dal 1374 quando era già arredato e alcuni mobili erano stati scavati nella roccia, come sedili, armadietti, cucine ed altro. A testimoniare ciò, la visita che il 13 Novembre dello stesso anno fecero il re Federico III d'Aragona e la regina Antonia del Balzo. Nel 1391 al vecchio Manfredi succedette il cugino Andrea Chiaromonte, cavaliere audace e coraggioso. Nel castello fu organizzata una riunione dei più potenti baroni siciliani per resistere agli Aragonesi, ma il patto raggiunto non fu mantenuto dai baroni e Andrea, abbandonato da tutti, fu fatto arrestare e condannare a morte l'1 Giugno 1392 in Piazza Marina, a Palermo. Dopo questo tragico evento a Mussomeli si succedettero diversi signori: i Moncada de Prades, Castellar de Valenza, Perapertusa, Ventimiglia e i Campo che vi rimasero per circa ottant'anni. Nel 1546 la signoria passò a Don Cesare Lanza fino all'abolizione della feudalità nel 1812. Don Cesare, uno dei personaggi più influenti dell'epoca, fondò il monastero delle Benedettine, fece costruire la torre dell'orologio e la conduttura dell'acqua del bosco, esercitò il commercio e migliorò ogni attività della sua contea, rendendo la vita più dignitosa dei suoi agricoltori. Purtroppo però raramente viene ricordato per tutto ciò che di positivo fece in queste terre. Il suo nome invece, è entrato nella leggenda per l'efferato omicidio della figlia Donna Laura, baronessa di Carini. A Don Cesare Lanza successe il figlio Don Ottavio Lanza e Centelles, conte di Mussomeli e barone di Trabia, e i suoi discendenti che abitarono il castello sino al 1603 e arricchirono il paese con il palazzo del Principe, la caratteristica Fontana del Nettuno e tante altre costruzioni. In seguito il castello fu adibito a carcere e poi abbandonato. Nel 1909-10, per incarico dell'Onorevole Pietro Lanza, principe di Trabia, il castello fu restaurato.
Castello di Pietrarossa - Caltanissetta
Il Castello di Pietrarossa di Caltanissetta risulta inaccessibile, se non dalla parte occidentale, e poggiato su una rocca a picco su un burrone, con le sue tre torri dominava la città.
Situato nella parte orientale del nucleo del centro storico di Caltanissetta e si affaccia sulla valle del fiume Salso. Il primo antico nucleo dell'attuale castello, situato in posizione strategica, permetteva di controllare un'importante via di comunicazione intema, il fiume Salso e creava una catena di avvistamento con il non lontano castello di Pietraperzia. Gli antichi mattoni rossastri che lo rivestivano, furono teatro di grandi vicende storiche dal 1100 al 1300, cioè nella fase che va dalla fine della dominazione araba ai Vespri Siciliani.
Si pensa che il suo nome derivi dall’antico rivestimento delle due torri.
Nel corso della storia è stato sede di alcuni avvenimenti storici di grande importanza: nel XI secolo vi fu sistemata la tomba della nipote del re Ruggero il Normanno (re di Sicilia, Puglia e calabria dal 1131 al 1154) e nel 1378 si tenne un importante riunione dei baroni siciliani durante la quale furono nominati 4 vicari che governassero la Sicilia. Intorno al 1570 una forte scossa di terremoto distrusse la maggior parte del castello, del quale oggi si possono ammirare solo due torri. Ai piedi del castello di Pietrarossa fu edificato il cimitero degli Angeli di Caltanissetta.
Il nome Pietrarossa deriva dalle materie prime utilizzate per la costruzion del castello stesso (le pietre rosse appunto); tutt'oggi in calune parti del castello queste pietre sono ancora visibili.
Il panorama che si può ammirare da questo castello è davvero spettacolare anche se oggi il castello si trova in uno stato di totale abbandono.
Situato nella parte orientale del nucleo del centro storico di Caltanissetta e si affaccia sulla valle del fiume Salso. Il primo antico nucleo dell'attuale castello, situato in posizione strategica, permetteva di controllare un'importante via di comunicazione intema, il fiume Salso e creava una catena di avvistamento con il non lontano castello di Pietraperzia. Gli antichi mattoni rossastri che lo rivestivano, furono teatro di grandi vicende storiche dal 1100 al 1300, cioè nella fase che va dalla fine della dominazione araba ai Vespri Siciliani.
Si pensa che il suo nome derivi dall’antico rivestimento delle due torri.
Nel corso della storia è stato sede di alcuni avvenimenti storici di grande importanza: nel XI secolo vi fu sistemata la tomba della nipote del re Ruggero il Normanno (re di Sicilia, Puglia e calabria dal 1131 al 1154) e nel 1378 si tenne un importante riunione dei baroni siciliani durante la quale furono nominati 4 vicari che governassero la Sicilia. Intorno al 1570 una forte scossa di terremoto distrusse la maggior parte del castello, del quale oggi si possono ammirare solo due torri. Ai piedi del castello di Pietrarossa fu edificato il cimitero degli Angeli di Caltanissetta.
Il nome Pietrarossa deriva dalle materie prime utilizzate per la costruzion del castello stesso (le pietre rosse appunto); tutt'oggi in calune parti del castello queste pietre sono ancora visibili.
Il panorama che si può ammirare da questo castello è davvero spettacolare anche se oggi il castello si trova in uno stato di totale abbandono.
giovedì 10 gennaio 2013
Castello di Racalmuto - Agrigento
Il Castello di Racalmuto fu costruito durante la dominazione normanna ed esattamente nel periodo della baronia di Roberto Malcovenant, un francese al seguito di Re Ruggero d'Altavilla. Successivamente Federico d'Aragona trasferì la proprietà del castello e del feudo circostante a Federico II Chiaramonte. Proprio alla famiglia Chiaramonte si deve l’ampliamento della fortezza iniziale che assunse un aspetto maestoso.
L’antico borgo di Racalmuto, di origine saracena, venne abbandonato nel 1300 a seguito di una pestilenza e l’attuale Racalmuto si sviluppò attorno al castello. Il castello è un chiaro esempio dell’architettura militare del periodo svevo, con la sua pianta trapezoidale, le torri a base circolare, la disposizione del portale e degli ingressi secondari, le finestre disposte in facciata senza simmetria e le imponenti mura spesse circa due metri. La torre sinistra ha conservato il suo aspetto originale mentre quella destra è stata restaurata e destinata a belvedere. All’inizio del Novecento il castello è stato dichiarato monumento nazionale.
Castello di Favara - Agrigento
Edificato nel XIII sec. dalla famiglia Chiaramonte, riveste particolare interesse perché rappresenta la fase di transizione dalla tipologia del castello a quella del palazzo. Il Palazzo, com'è comunemente chiamato, per la disposizione in quadrato dei corpi di fabbrica, richiama lo schema tipico dei castelli svevi sorti nella Sicilia orientale e si può facilmente paragonare ai "palacia" o "solacia" fatti costruire dal re Federico II di Svevia (1194-1250) in Sicilia ed in Puglia circa 50 anni prima. Il suo parziale uso a residenza non strettamente militare è diretta conseguenza dell'ubicazione poco elevata del maniero che si presenta con un primo ordine di facciata compatto ed un secondo traforato da bifore, talune sostituite, in età rinascimentale da finestre architravate. Il Castello ha mura alte e assai spesse, con numerose strette feritoie su tutti e quattro i lati.
I locali al piano terra, una volta adibiti a magazzini, scuderie e abitazioni della servitù, presentano volte a botte. Si aprono tutti sul cortile attraverso porte archiacute, con integrazioni del '500, '700 e '800, e prendono luce dalle strettissime feritoie. Vari stipi murali, della stessa foggia delle finestre, si aprono su quasi tutte le pareti interne e spesso in maniera modulare. Nell'androne d'ingresso una lapide reca ancora una misteriosa, indecifrabile iscrizione che la credenza popolare vuole si riferisca ad un tesoro nascosto. Degni di nota sono la cappella e il portale, affiancato su ciascun lato da due colonnine e da un fregio marmoreo rifinito a bassorilievo con amorini alati. I motivi delle decorazioni riecheggiano chiaramente l'età normanna: in particolare i fusti e i capitelli ricordano quelli del chiostro del Duomo di Monreale.
Il primo piano presenta una grande incoerenza strutturale e distributiva, dovuta principalmente agli interventi prima medievali e poi rinascimentali che hanno turbato l’originaria unità ed alla conseguente aggiunta del ballatoio esterno in pietra probabilmente nel '700, ma originariamente sicuramente in legno ed ammissibile ad un porticato. Singolare era l’ambiente a sud-est attiguo alla cappella, in origine coperto da una volta a crociera costolana. La loggia del primo piano è coperta da volta a botte, impreziosita in prossimità dell’imposta, da vari fregi plastici di epoca chiaramontana che aggettano sul filo dei muri di piedritto.
I locali al piano terra, una volta adibiti a magazzini, scuderie e abitazioni della servitù, presentano volte a botte. Si aprono tutti sul cortile attraverso porte archiacute, con integrazioni del '500, '700 e '800, e prendono luce dalle strettissime feritoie. Vari stipi murali, della stessa foggia delle finestre, si aprono su quasi tutte le pareti interne e spesso in maniera modulare. Nell'androne d'ingresso una lapide reca ancora una misteriosa, indecifrabile iscrizione che la credenza popolare vuole si riferisca ad un tesoro nascosto. Degni di nota sono la cappella e il portale, affiancato su ciascun lato da due colonnine e da un fregio marmoreo rifinito a bassorilievo con amorini alati. I motivi delle decorazioni riecheggiano chiaramente l'età normanna: in particolare i fusti e i capitelli ricordano quelli del chiostro del Duomo di Monreale.
Il primo piano presenta una grande incoerenza strutturale e distributiva, dovuta principalmente agli interventi prima medievali e poi rinascimentali che hanno turbato l’originaria unità ed alla conseguente aggiunta del ballatoio esterno in pietra probabilmente nel '700, ma originariamente sicuramente in legno ed ammissibile ad un porticato. Singolare era l’ambiente a sud-est attiguo alla cappella, in origine coperto da una volta a crociera costolana. La loggia del primo piano è coperta da volta a botte, impreziosita in prossimità dell’imposta, da vari fregi plastici di epoca chiaramontana che aggettano sul filo dei muri di piedritto.
Castello di Falconara - Caltanissetta
Nel territorio di Butera, su un promontorio circondato dal verde, si erge il Castello di Falconara, l'unico tra i manieri della provincia di Caltanissetta ad affacciarsi sul mare. Risalente al XV secolo, ampliato e rafforzato nel corso del tempo, mantenne la sua funzione di vigilanza contro le incursioni dei pirati fino a tutto il XVIII secolo. La torre, nucleo originario del castello, oltre a difendere le attività di un piccolo 'caricatore', faceva parte del circuito difensivo costiero dell'isola; alle torri di Falconara e Manfria, distanti tra loro circa 8 km, era infatti affidato il controllo del tratto di costa tra Licata e Torrenova (l'odierna Gela).
Passato dai Santapau ai Branciforte ed infine ai Chiaramonte Bordonaro, a metà dell'800 gli fu aggiunto un nuovo corpo di fabbrica e fu ristrutturato come elegante residenza nobiliare, conservando l'antica struttura aragonese e l'originaria organizzazione spaziale. Il nucleo originario, costituito dalla vecchia torre quadrata, detta "della Falconara" per l'allevamento dei falconi che i signori vi tenevano in epoca non precisata, è stato manipolato e ampliato dai diversi proprietari succedutisi nei secoli.
Volumetricamente il castello è costituito da una complessa articolazione di corpi (670 mq) sviluppatisi attorno alla torre centrale. Oggi risulta difficile distinguere le fasi di evoluzione poichè gli interventi di ampliamento e rimaneggiamento della struttura originaria ne hanno alterato le caratteristiche architettoniche.
Internamente il castello si presenta molto articolato, con ambienti riccamente arredati e decorati, all'interno dei quali si conservano collezioni di ceramiche, dipinti e trofei di caccia conquistati dal padrone di casa e dal padre, il barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro Alliata, nei loro numerosi safari in Kenya. Il castello è parzialmente circondato da una cinta muraria merlata, di recente fattura, attraversando la quale si accede ad un baglio sul quale si affacciano i vari corpi che compongono il complesso architettonico. L'ala ottocentesca, sviluppata verso il mare, è conclusa da un ampio terrazzo affacciato direttamente sul litorale antistante; tale corpo, collegato da uno scalone alla torre originaria, ospita anche un vasto salone un loggiato laterale.
La corte è aperta su un lato e l'ingresso avviene attraverso un grande portone ad arco. Sul perimetro della corte si attestano edifici eterogenei, coperti con tetti a falde e con balconi e finestre che guardano verso l'esterno del costruito. Sostanzialmente, il complesso edilizio ha mantenuto l'organizzazione spaziale originale, anche nell'arredo dei mobili pregiati e di raffinata fattura che vi si trovano ancora adesso.
Sul prospetto dove si trova l'ingresso si distingue, nella torre, una cannoniera e, agli spigoli, due spalti di mensole aggettanti. Sempre in corrispondenza dell'ingresso si apre un cortile a forma rettangolare su cui si affacciano le scuderie ed i magazzini. Dall'esterno si accede inoltre alla cappella padronale, i cui elementi architettonici decorativi, così come in tutto il corpo centrale, sono in pietra di Modica; mentre la struttura portante è realizzata con pietrame uniforme di gesso e calce.
All'esterno il Castello di Falconara è circondato da un lussureggiante parco, all'interno del quale sorge un resort esclusivo, il Falconara Charming House, di proprietà della Famiglia Bordonaro. Una splendida piscina e numerose palmizie rendono l'area esterna indimenticabile per svolgere aperitiivi, buffet di gala, o semplicemten per passeggiare e godere delll'ambiente unico del castello e del suo parco. In esso trova la presenza rara di un fico d'India a fiore a palme rotonde, una specie che in Sicilia si trova solo nell'Orto Botanico di Palermo. La pavimentazione dei vialetti è realizzata in conci di pietra squadrata regolari, con disegno centrale a spina di pesce.
Passato dai Santapau ai Branciforte ed infine ai Chiaramonte Bordonaro, a metà dell'800 gli fu aggiunto un nuovo corpo di fabbrica e fu ristrutturato come elegante residenza nobiliare, conservando l'antica struttura aragonese e l'originaria organizzazione spaziale. Il nucleo originario, costituito dalla vecchia torre quadrata, detta "della Falconara" per l'allevamento dei falconi che i signori vi tenevano in epoca non precisata, è stato manipolato e ampliato dai diversi proprietari succedutisi nei secoli.
Volumetricamente il castello è costituito da una complessa articolazione di corpi (670 mq) sviluppatisi attorno alla torre centrale. Oggi risulta difficile distinguere le fasi di evoluzione poichè gli interventi di ampliamento e rimaneggiamento della struttura originaria ne hanno alterato le caratteristiche architettoniche.
Internamente il castello si presenta molto articolato, con ambienti riccamente arredati e decorati, all'interno dei quali si conservano collezioni di ceramiche, dipinti e trofei di caccia conquistati dal padrone di casa e dal padre, il barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro Alliata, nei loro numerosi safari in Kenya. Il castello è parzialmente circondato da una cinta muraria merlata, di recente fattura, attraversando la quale si accede ad un baglio sul quale si affacciano i vari corpi che compongono il complesso architettonico. L'ala ottocentesca, sviluppata verso il mare, è conclusa da un ampio terrazzo affacciato direttamente sul litorale antistante; tale corpo, collegato da uno scalone alla torre originaria, ospita anche un vasto salone un loggiato laterale.
La corte è aperta su un lato e l'ingresso avviene attraverso un grande portone ad arco. Sul perimetro della corte si attestano edifici eterogenei, coperti con tetti a falde e con balconi e finestre che guardano verso l'esterno del costruito. Sostanzialmente, il complesso edilizio ha mantenuto l'organizzazione spaziale originale, anche nell'arredo dei mobili pregiati e di raffinata fattura che vi si trovano ancora adesso.
Sul prospetto dove si trova l'ingresso si distingue, nella torre, una cannoniera e, agli spigoli, due spalti di mensole aggettanti. Sempre in corrispondenza dell'ingresso si apre un cortile a forma rettangolare su cui si affacciano le scuderie ed i magazzini. Dall'esterno si accede inoltre alla cappella padronale, i cui elementi architettonici decorativi, così come in tutto il corpo centrale, sono in pietra di Modica; mentre la struttura portante è realizzata con pietrame uniforme di gesso e calce.
All'esterno il Castello di Falconara è circondato da un lussureggiante parco, all'interno del quale sorge un resort esclusivo, il Falconara Charming House, di proprietà della Famiglia Bordonaro. Una splendida piscina e numerose palmizie rendono l'area esterna indimenticabile per svolgere aperitiivi, buffet di gala, o semplicemten per passeggiare e godere delll'ambiente unico del castello e del suo parco. In esso trova la presenza rara di un fico d'India a fiore a palme rotonde, una specie che in Sicilia si trova solo nell'Orto Botanico di Palermo. La pavimentazione dei vialetti è realizzata in conci di pietra squadrata regolari, con disegno centrale a spina di pesce.
mercoledì 9 gennaio 2013
Castello di Naro - Agrigento
Sorge sulla sommità di un colle situato a 600 m.s.l.m. denominato anticamente “Monte Agragante”. Fu costruito in tufo, con molte probabilità, durante il XII sec. sulle rovine di un preesistente fortilizio arabo risalente alla dominazione dei Berberi. Le prime notizie certe relative al castello risalgono però alla guerra dei Vespri quando i francesi che vi risiedevano, compreso il governatore Turpiano, furono uccisi dai Naritani, i quali per sfregio li appesero per il collo, con delle corde, fuori le mura della roccaforte. Il castello fu ristrutturato nel 1330 per volontà di Federico III d’Aragona, il quale modificò la sua struttura originaria aggiungendo un Mastio, ossia una torre quadrata nella quale visse durante il suo soggiorno narese. Proprio da questa residenza egli emanò i "21 capitoli del regno, riguardanti il buon governo delle terre e città del Regno di Trinacria", datati da Naro ed inviati ai sudditi (gli studiosi sono incerti sull'anno di promulgazione di tale documento che viene individuato da alcuni nel 1309 e da altri nel 1324). Il lato occidentale della torre reca lo stemma della famiglia Aragona, mentre quello orientale è caratterizzato da due bifore tipicamente gotiche che illuminano la grande “Sala del Principe” situata al primo piano della torre, a cui si può accedere tramite una scala rampante. Nel 1336, Naro passò sotto la signoria di Matteo Chiaramonte, il quale apportò ulteriori modifiche al castello. Nel 1398 ospitò il re Martino il Giovane e la regina Maria, quando vennero edificati a Naro il convento e la chiesa del S.S. Salvatore. Mura alte e possenti caratterizzano l’intera struttura, due torri circolari e due quadrangolari sono poste a difesa della fortezza. Dall’ingresso, con portale a sesto acuto del '400, si accede al cortile principale, con al centro un pozzo, dove troviamo la cappella, le scuderie e gli alloggi per i soldati. Il cortile inoltre, in caso di pericolo rappresentava un rifugio sicuro per i contadini della zona. Tra gli ambienti interni coperti da volte a botte si segnala il bel salone a cui si accede da una porta trecentesca e un'ampia cisterna aperta che veniva usata talvolta come prigione. All'interno della "Sala del Principe" si conservano ancora dei frammenti di un affresco di Cecco da Naro, pittore al quale la famiglia Chiaramonte affidò anche la pittura della residenza palermitana, lo Steri. È possibile recarsi anche al di sopra della torre quadrata, dalla quale si domina con la vista un ampio territorio. Sulla torre rotonda è posta una statua della Madonna a protezione della città. Il castello, che presenta una pianta quasi rettangolare, occupa una superficie di 1460 mq ed ha un perimetro di 166 m. La fortezza, di proprietà comunale, ha subìto diversi restauri mirati sia a conservare l'edificio, sia ad inserirlo nella realtà locale con la destinazione a museo di due livelli dell'ala sud-est e della Torre Aragonese, nonché con la creazione di un laboratorio di restauro nell'area sud-ovest. Dal 1912 il castello è stato dichiarato monumento nazionale. Viene anche utilizzato per celebrare i matrimoni con rito civile. Una leggenda, risalente al tempo dei normanni, riguarda la storia di donna Giselda, la bella castellana che si era innamorata di Bertran, uno dei saggi di corte, e che per questo ebbe un triste epilogo. L’idillio durava già da un po’ quando in una notte di luna piena, mentre lui cantava con il suo liuto il suo amore alla bella donna dai capelli neri e gli occhi azzurri, furono sorpresi dal marito Pietro Calvello. Il giovane amante fu ucciso e gettato dall’alto della sua torre, mentre Giselda, rinchiusa nelle prigioni del castello, si lasciò morire di dolore. Un altro fatto di sangue interessò il castello quando, estinta la dinastia dei Chiaramonte, al tempo della Regina Bianca di Navarra e delle sue disavventure con Bernardo Cabrera, questi, odiato dalla città di Naro che, come quasi tutta la Sicilia parteggiava per la Regina, non potendo espugnare il maniero, molto ben difeso, vi penetrò a tradimento. Nella lotta che ne seguì il castellano del tempo, Lop di Leone, morì gridando il nome della sovrana ed il Cabrera, dopo averne fatto tagliare a pezzi il cadavere, fece anche murare viva nel castello la madre badessa, colpevole solo di essere parente del castellano.
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